L’auto europea è ancora bella? Sì. Ma basta bellezza: serve coraggio
Risposta al post Linkedin di Riccardo Penna: il nostro problema non sono le auto… siamo noi, con il nostro attaccamento al mito e alla forma, mentre il mondo cambia.
Il tuo post, alla fine, cosa mi porta a pensare?
A pensare una volta in più che, nella cultura europea, siamo ancora ancorati al suprematismo — in parte basato sulla verità. Quale?
L’automobile che corre, quella che sollevava i cuori, le masse… che automobili erano? E che automobilismo era? “Passione”, “ardore”, “genio”, “sregolatezza”… quanta innovazione è nata da quel tempo fatto di micron “a spanne”. Anni ’30.
L’odore che usciva dagli scarichi muoveva adrenalina, e non c’è dubbio. Ma il DNA competitivo, innovativo, nacque prima in Francia, poi in Italia, negli anni ’20-’30, con Stoccarda che ci tampinava.
Quell’epoca pionieristica era intrisa di arditismo: lo stesso impeto che ci condusse, senza freni, verso due guerre mondiali.
Ebbene, è durato pochi decenni il mito. Dopo gli ultimi personaggi storici — Chiti, Forghieri, l’ingegner Ferrari, Ferruccio Lamborghini, il coraggioso Bandini e Dallara — cosa è rimasto?
Qualche pilota ha preso la scena, il marketing ha reso quel mondo un’altra cosa. L’industrializzazione, i marchi storici si sono imposti sul grande pubblico e, se notiamo, sono tutti rimasti ancorati graniticamente a un’immagine sola. Sempre quella, riconoscibilissima nel tempo. Guardare una BMW degli anni ’60 e affiancarla a una degli anni ’80, 2000 o 2020… si vede che sono uscite dalla stessa penna.
C’è stata innovazione? Sì, lentissima, ma mai fuori dal solco.
Ancora oggi siamo legati a quel suprematismo che insistiamo a chiamare tradizione. Perché? È il DNA della nostra cultura, greco-romana e cattolica. Nel nostro inconscio abbiamo l’idea di “Roma caput mundi”.
All’inizio del 2024, un bel giorno, si è iniziato a sentire parlare delle auto made in China.
Paese nel quale tutti i costruttori di auto hanno raccolto fior di miliardi — ma l’han fatto basandosi sul peccato originale che si portano dentro: “Europa caput mundi”.
Ovviamente, in un mercato che fino a pochi anni prima gioiva per una bicicletta, poter guidare un’Audi o una Benz era espressione di vanto assoluto…
Finché, con il loro passo e il loro paradigma, hanno acceso la luce sul mondo con le loro auto elettriche.
Non a scoppio — mai sarebbero riusciti a primeggiare contro la granitica idea che le auto più belle, potenti, funzionali fossero europee.
Invece, nell’elettrico — da noi snobbato perché non fa “wrumm wrumm”, non puzza di olio di ricino — loro, dalle retrovie, sono arrivati a fare auto con tecnologie completamente diverse, slegate dal concetto di perpetuazione dell’immagine, ma liberi di esprimere l’idea stilistica che più si adatta al mercato.
Non potete immaginare quali tecniche usano per sondare tendenze, colori, gadget e tutto ciò che dovrebbe avere o essere un’auto.
E noi? Nell’arco di un anno: un gancio destro, seguito da un diretto, e le vendite delle “cinque sorelle” a picco.
Fine del mito.
BMW? Audi invendute. Benz che arrancano.
Stellantis, che per prima ha sentito odore di bruciato: ottobre ’22 fallimento, ottobre ’23 vendita degli stabilimenti…
Nota: nel 1983 Jeep (allora AMC) aprì il primo stabilimento in joint venture per la produzione di automobili in Cina
…
Ne ho possedute due: una simil-Willys e poi la Cherokee… a quel tempo vera espressione di occidentalità.
Oggi cosa succede?
Succede che giovani slegati da ogni concetto del passato, senza remore anche nell’avvicinare le linee a quelle di auto blasonate (“irrispettosi!”, tuonò qualcuno), ma — ahimè — vincenti.
La vicenda Xiaomi l’ho saltata a piè pari, ci sono dozzine di post sul tema, ma una nota trova merito:
L’auto a cui è intitolata la curva Xiaomi, in comune con quella del record precedente, ha solo: le ruote, i dischi e le ganasce dei freni, il sedile, il volante e il parabrezza… ovviamente il rollbar.
Ma per il resto, di europeo, occidentale, copiato o scopiazzato… non c’è niente.
Riccardo lancia un duro giudizio sull’approccio dell’Europa e dell’Italia al settore automobilistico, che a suo dire si limita troppo spesso a restyling superficiali e campagne nostalgiche rivolte a un passato ormai lontano. Secondo lui, la strategia industriale europea ha perso forza e visione, lasciando il campo poco competitivo. Innegabile. Non risparmia nemmeno il management, che accusa di mancanza di obiettivi chiari e di delegare la comunicazione a figure inadeguate. Il risultato è una gestione poco innovativa e poco efficace, che rischia di compromettere il futuro del settore e sono tutti sintomi che io connetto al peccato originale.
Tuttavia, questa crisi non può prescindere da un contesto più ampio: millenni di storia automobilistica che pesano sul presente. Sebbene il passato non vada dimenticato, serve spazio per nuove idee e nuovi modelli industriali, liberi dai vincoli del passato. Oggi, infatti, sono proprio le aziende meno legate alle strutture tradizionali a guidare l’innovazione, proponendo automobili che vanno ben oltre il concetto classico di mezzo di trasporto.
Non dico “dimenticare” — mai dimenticare — ma almeno lasciare spazio a chi dice che ci sono mondi diversi, che, proprio perché non ancorati alle nostre pecche, oggi trovano spunti per crescere e migliorare.
Con nuovi paradigmi industriali, con oggetti che sì, sono auto… ma che alla fine ti portano da A a B dandoti anche altro.
Ogni brand, ogni nuovo modello ha cose nuove e diverse. Ve ne accorgerete quando ne arriveranno di più.
Chiudo…
Invitando a cercare in rete i nuovi modelli Audi e Benz fatti in Cina, con apporto di paradigmi cinesi…
Niente più loghi, niente più vecchie linee che riconducono alla genesi anni ’60.
Tutto copiato dai cinesi.
Pare assurdo?
E noi (italiani/europei)? Guardiamo soltanto?
No. Da oggi, rincorriamo.
Vedremo se saremo ancora capaci di farci intitolare altre curve del Nürburgring.
Io dubito.
Daniele Prandelli