Il tramonto della visione suprematista di Federico Rampini
Il Declino di un Intellettuale alla Corte dell’Occidente: Rampini e la Cecità verso il Sud Globale
Federico Rampini, giornalista e saggista italiano naturalizzato statunitense, è una figura emblematica di un Occidente che si aggrappa a una visione ormai superata. Cresciuto in un contesto culturale impregnato di suprematismo occidentale, dominante fino agli anni ’80 e ’90, Rampini sembra incapace di accettare il mutamento epocale che sta ridefinendo gli equilibri globali. L’Occidente, con i suoi 1,1 miliardi di abitanti (inclusi Giappone e Australia), si trova oggi a confrontarsi con un Sud globale che rappresenta il resto degli 8 miliardi di persone sulla Terra. Questo Sud, culturalmente ed economicamente in ascesa, non è più il “Terzo Mondo” subalterno di un tempo, ma una forza autonoma, indipendente e pluralista. Eppure, Rampini, ancorato a una retorica americocentrica, continua a difendere un modello che considera le democrazie liberali occidentali come l’unico strumento valido per garantire prosperità e crescita culturale, ignorando che il mondo sta correndo su binari diversi.
Un’educazione nella retorica suprematista
Nato negli anni ’50, Rampini si è formato in un’epoca in cui l’egemonia occidentale, guidata dagli Stati Uniti, sembrava inattaccabile. La Guerra Fredda, la supremazia economica e militare dell’Occidente, e la narrazione di un mondo diviso tra “libertà” e “totalitarismo” hanno plasmato la sua visione. Questa mentalità, che vedeva l’Occidente come il faro della civiltà, era comprensibile in un contesto in cui gli Stati Uniti dominavano la scena globale, mentre il Sud del mondo era percepito come un insieme di nazioni arretrate, intrappolate in dinamiche feudali o coloniali. Tuttavia, quella realtà non esiste più. La Cina, l’India, l’Africa e l’America Latina hanno intrapreso percorsi di sviluppo che, pur con contraddizioni, li stanno portando a competere con l’Occidente su più fronti: economico, tecnologico, culturale.
Rampini, però, sembra incapace di liberarsi da questa visione datata. Nei suoi libri, come Fermare Pechino(2021), e nei suoi articoli sul Corriere della Sera, la Cina è descritta come una minaccia autoritaria, un colosso che deve essere “fermato” per preservare l’ordine globale guidato dall’Occidente. La sua ammirazione per gli Stati Uniti, con il loro dollaro, la loro superiorità militare e la loro leadership tecnologica, emerge come un riflesso condizionato, un’eco di un’America idealizzata che non tiene conto delle sue profonde contraddizioni interne, come l’oligarchia economica e politica che Rampini stesso critica, ma mai in modo radicale.
La cecità verso il Sud globale
Il Sud del mondo, con i suoi 7 miliardi di abitanti, non è più un’entità passiva. La Cina, che Rampini critica per il suo autoritarismo, ha compiuto in pochi decenni un balzo straordinario, passando da una società feudale e schiavista fino al primo Novecento a una superpotenza tecnologica e industriale. L’India, con la sua democrazia caotica ma resiliente, sta emergendo come un polo di innovazione. L’Africa, nonostante le sue sfide, mostra tassi di crescita economica e demografica che ne fanno un continente del futuro. Questi popoli, con culture millenarie alle spalle, stanno costruendo modelli di sviluppo che non si piegano alla logica occidentale delle “democrazie liberali” come unico paradigma valido.
Rampini, tuttavia, sembra percepire queste forze come “cenere negli occhi”, un disturbo alla sua visione di un mondo guidato dagli Stati Uniti. La sua fede granitica nel modello democratico-liberale, che identifica con l’Occidente, lo porta a sottovalutare la capacità del Sud globale di generare prosperità e innovazione attraverso modelli diversi. La Cina, ad esempio, con il suo “capitalismo pubblico”, ha dimostrato che un sistema alternativo può competere e, in prospettiva, superare l’Occidente in settori come l’intelligenza artificiale, il 5G e le energie rinnovabili. Rampini, invece di analizzare con obiettività questa trasformazione, si rifugia in una narrazione che dipinge ogni forza anti-americana come una minaccia esistenziale, incapace di riconoscere la pluralità di percorsi che il mondo sta intraprendendo.
Una scrittura al servizio dei clickbait
La parabola di Rampini riflette un fenomeno più ampio: quello di un giornalismo che, per sopravvivere in un mercato competitivo, si adagia su narrazioni semplificate e accattivanti. I suoi editoriali, pur ben scritti e documentati, sembrano sempre più rivolti a un pubblico che cerca conferme, non analisi. La sua prosa, un tempo incisiva e provocatoria, si è trasformata in una filipp starry-and-stripes, che piace ai lettori occidentali desiderosi di rassicurazioni sulla superiorità del loro modello. Scrivere per i clickbait, per compiacere chi “paga la pagnotta” (editori, lettori, establishment), è la deriva di un intellettuale che, come molti, ha smesso di interrogarsi sul futuro.
Questa mancanza di visione è evidente nel modo in cui Rampini tratta la Cina e il Sud globale. Invece di esplorare le complessità di queste realtà, si limita a una critica moralistica che non coglie la loro capacità di plasmare il futuro. La sua insistenza nel difendere le democrazie liberali come unico modello valido ignora che l’Occidente, con le sue disuguaglianze crescenti e le sue crisi di legittimità, non è più il faro universale che pretende di essere.
Il futuro appartiene al Sud globale
Il mondo sta cambiando a una velocità che Rampini sembra non voler comprendere. Il Sud globale, con la sua diversità culturale e la sua autonomia crescente, non ha bisogno delle lezioni dell’Occidente per prosperare. La Cina, pur con i suoi limiti autoritari, sta costruendo un modello che attrae molti Paesi del Sud globale, offrendo infrastrutture, investimenti e una visione non allineata all’egemonia americana. L’India, l’Africa e l’America Latina stanno sviluppando identità proprie, pluraliste e indipendenti, che non si piegano alla narrativa suprematista occidentale.
Rampini, con la sua fede incrollabile nell’eccezionalismo americano, rappresenta una voce fuori dal tempo, un eco di un’epoca che sta svanendo. Il mondo correrà avanti, con o senza le sue filippiche a stelle e strisce. Il Sud globale, con la sua energia e la sua pluralità, è destinato a diventare la forza dominante del futuro, non perché sia privo di difetti, ma perché ha imparato a camminare da solo.
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